Rel. n. III/14/10 Roma, 6 dicembre 2010

Novità legislative: L. 4 novembre 2010, n. 201, recante “Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno”.

OGGETTO: Novità legislative – Legge 4 novembre 2010, n. 201 – Norme di adeguamento dell’ordinamento interno alla Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia.

RIF. NORM.: Cod. pen., artt. 544 bis, 544 ter.

Con la legge 4 novembre 2010, n. 201 (in Gazz. Uff. n. 283 del 3 dicembre 2010), è stata ratificata la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (Convenzione del Consiglio d’Europa di Strasburgo del 13 novembre 1987) e si è provveduto all’introduzione di alcune norme mirate all’adeguamento dell’ordinamento interno ai suoi contenuti.

In tal senso il legislatore ha provveduto, tra l’altro, a modificare, seppure marginalmente, alcune delle norme del Titolo IX bis del Libro II del codice penale (“Dei delitti contro il sentimento degli animali”), nonchè alla configurazione del nuovo delitto di traffico illecito di animali da compagnia. La Convenzione menzionata nel suo preambolo riconosce «l’obbligo morale» dell’uomo di «rispettare tutte le creature viventi» e «l’importanza degli animali da compagnia a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società», identificando così le ragioni che hanno ispirato l’intervento normativo.

La medesima Convenzione, all’art. 1 par. 1, definisce poi la nozione di “animali da compagnia”, stabilendo che tali devono essere considerati quelli tenuti o destinati ad essere tenuti dall’uomo presso il proprio alloggio domestico, per proprio diletto e compagnia. Il par. 2 dello stesso articolo fornisce inoltre la nozione di “commercio di animali da compagnia”, precisando che per tale si intende «l’insieme delle transazioni effettuate in maniera regolare per quantitativi rilevanti ed a fini di lucro, che comportano il trasferimento di proprietà di tali animali».

Alcuni dei principi e dei divieti fissati dallo strumento internazionale già erano stati indirettamente recepiti dal legislatore (sebbene non con esclusivo riferimento agli animali da compagnia) in occasione dell’introduzione nel Libro II del codice penale, attraverso la legge 20 luglio 2004, n.189, del menzionato catalogo dei delitti contro il sentimento degli animali. Ciò ha consentito di limitare la produzione di nuove disposizioni sanzionatorie al momento della pur tradiva ratifica della Convenzione.

In proposito la legge n. 201 del 2010 ha innanzi tutto provveduto ad innalzare le pene previste dagli artt. 544 bis e 544 ter cod. pen., per i reati, rispettivamente, di uccisione e di maltrattamento di animali. Nel primo caso fissandole nella reclusione da quattro mesi a due anni (in precedenza la pena era da tre a diciotto mesi) e nel secondo nella reclusione da tre a diciotto mesi alternativa alla multa da 5.000 a 30.000 euro (in precedenza la pena era quella della reclusione da tre mesi ad un anno o della multa da 3.000 a 15.000 euro).

Sul punto va nuovamente ricordato che il legislatore ha operato su fattispecie incriminatici non espressamente dedicate agli animali da compagnia, bensì a qualsiasi tipo di animale, compresa dunque la fauna selvatica, gli animali randagi, quelli allevati per scopi alimentari o per altre finalità economiche.

Ciò non di meno le due incriminazioni, come quelle previste dall’art. 544 quater cod. pen. (“Spettacoli e manifestazioni vietate”) e dall’art. 544 quinquies (“Divieto di combattimento tra animali”), appaiono pienamente idonee a garantire l’effettività dei principi dettati dalla Convenzione in tema di uccisione, mantenimento ed impiego di animali da compagnia in pubblicità, spettacoli, esposizioni, competizioni e manifestazioni analoghe.

Un discorso a parte deve essere invece riservato alla fattispecie degli interventi chirurgici a fini non curativi (come, ad esempio, il taglio della coda o delle orecchie ovvero la recisione delle corde vocali) espressamente vietato dall’art. 10 della Convenzione. In proposito il testo della legge approvato in prima lettura dalla Camera aveva provveduto a configurare nell’ambito del reato di maltrattamento di animali una autonoma fattispecie ritagliata sulla norma sovranazionale. Nel successivo corso dell’approvazione della legge si è però scelto di non alterare il profilo della disposizione incriminatrice, nella preoccupazione che una troppo specifica tipizzazione della condotta punita potesse interferire, al di là delle intenzioni preventive e repressive del legislatore, anche con pratiche legittime che coinvolgono interessi di determinate «categorie produttive». Va peraltro evidenziato che le condotte vietate dalla Convenzione possono in ogni caso integrare la fattispecie contemplata dall’art. 544 ter cod. pen., qualora determinino all’animale una lesione e siano poste in essere per crudeltà ovvero senza necessità.

L’art. 4 della novella introduce invece l’inedito reato di traffico illecito di animali da compagnia. In realtà la disposizione menzionata contiene due autonome norme incriminatrici che configurano altrettanti reati comuni puniti entrambi con la reclusione da tre mesi ad un anno e con la multa da 3.000 a 15.000 euro.

La prima fattispecie, tipizzata nel primo comma dell’art. 4, è quella di introduzione nel territorio nazionale di alcune tipologie di animali da compagnia privi di sistemi per l’identificazione individuale e delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, di passaporto individuale. Peraltro oggetto del precetto penale è solo la condotta posta in essere in maniera reiterata ovvero «tramite attività organizzate».

Pertanto il reato in questione sussiste soltanto nel caso di importazione non occasionale di animali ovvero qualora l’agente ponga in essere la condotta tipica (anche una sola volta) avvalendosi di una organizzazione di mezzi all’uopo predisposta, ma che non necessariamente presuppone l’esistenza di una struttura associativa.

La seconda fattispecie, prevista nel secondo comma del citato art. 4, riguarda invece le condotte di chi trasporta, cede o riceve gli animali importati «in violazione del citato comma 1». Oggetto di incriminazione sono dunque soltanto le condotte relative agli animali introdotti nel territorio nazionale in violazione della normativa sanitaria loro dedicata.

Peraltro in questo caso il legislatore non ha imposto i requisiti della reiterazione della condotta o dell’organizzazione dell’attività illecita e pertanto il reato è integrato anche dalla commissione episodica del fatto tipico.

La portata delle due incriminazioni è ulteriormente ridotta dalla definizione che i primi due commi dell’art. 4 operano dell’oggetto materiale del reato. Come accennato, infatti, oggetto di punizione è il traffico illecito soltanto di alcune tipologie di animali da compagnia e segnatamente di quelli menzionati nell’Allegato I, parte A, del regolamento (CE) n.998/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 maggio 2003 (si tratta del regolamento relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia, il quale ha a suo tempo modificato la direttiva 92/65/CEE del Consiglio). E l’allegato in questione, in realtà, menziona esclusivamente i cani ed i gatti. I reati descritti, dunque, non ricorrono nel caso in cui le condotte tipizzate riguardino altri animali che pure rientrerebbero nella nozione contenuta nell’art. 1 della Convenzione, alla quale comunque le norme incriminatici implicitamente rinviano per definire il concetto di “animali da compagnia”.

Non solo, per la sussistenza dei due nuovi reati è altresì richiesto il dolo specifico di profitto (per sé o per altri), requisito che li distingue dagli illeciti amministrativi configurati nel successivo art. 5della novella e che hanno parimenti ad oggetto le condotte di importazione, trasporto e cessione di cani e gatti.

Il terzo comma dell’art. 4 della legge n. 201 del 2010 prevede poi un’aggravante ad effetto comune per il caso che gli animali oggetto delle due incriminazioni abbiano un’età accertata inferiore alle dodici settimane ovvero qualora gli stessi provengano «da zone sottoposte a misure restrittive di polizia veterinaria adottate per contrastare la diffusione di malattie trasmissibili proprie della specie».

Nel successivo quarto comma è invece disposta la confisca obbligatoria degli animali oggetto dei due reati – anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti – e salvo che gli stessi non appartengano a persone estranee al reato. Lo stesso comma prevede inoltre la sanzione accessoria della sospensione da tre mesi a tre anni delle attività di trasporto, commercio o allevamento di animali, qualora l’autore dei reati svolga le predette attività e, in caso di recidiva, quella dell’interdizione dall’esercizio delle medesime attività.

E’ infine necessario dare conto delle potenziali interferenze delle nuove disposizioni ( e della stessa Convenzione) con la normativa vigente. In proposito va ricordato che la categoria degli “animali da compagnia” era precedentemente sconosciuta all’ordinamento, che invece, attraverso la legge 14 agosto 1991, n. 281, già contemplava quella degli “animali da affezione”. Definizione che la stessa giurisprudenza penale di legittimità ha avuto modo di precisare debba essere interpretata in modo oggettivo e non soggettivo, attribuendola non già a quegli animali cui l’uomo potrebbe affezionarsi secondo una valutazione per l’appunto soggettiva, bensì a quelli tradizionalmente considerati «domestici o di compagnia», con esclusione, dunque ed innanzi tutto, della fauna selvatica (in questo senso Sez. III 9 aprile 2008, n. 23631, Lovato, rv 240231).

In tal senso intesa, la nozione di animali da affezione sembra dunque sovrapponibile a quella di animali da compagnia accolta dalla Convenzione e dell’art. 4 della legge n. 201 del 2010. Ne consegue che l’attribuzione, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute, della vigilanza sul rispetto delle norme relative alla protezione degli animali da affezione (attribuzione compiuta dall’art. 6 della legge n. 189 del 2004 già menzionata) può ritenersi estesa anche ai reati introdotti dall’art. 4 della novella. In proposito va quindi evidenziato che, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza citata in precedenza, a tal fine le guardie volontarie possono svolgere funzioni di polizia giudiziaria ai sensi degli artt. 55 e 57 cod. proc. pen. (richiamati dal menzionato art. 6 della legge n. 189 del 2004).

 

Redattore: Luca Pistorelli                                                  Il vice direttore

(Domenico Carcano)